
Sin dai tempi più antichi lo sterco è stato utilizzato come “materiale edile” in varie parti del mondo per diverse motivazioni tra cui ampia reperibilità e facile malleabilità.
Per esempio, recentemente, dopo il terremoto del gennaio 2001 in India, è stato ricostruito in collaborazione con alcune ONG, un nuovo villaggio, Gandi No Gao, utilizzando tecniche e materiali tradizionali tra cui lo sterco (di vacca e di asino) impiegato come ingrediente per la costruzione dei mattoni, della malta e anche per l’intonaco e le decorazioni parietali delle abitazioni locali chiamate “bhunga”; infatti, oltre alla valorizzazione di metodologie arcaiche e all’uso di materiali naturali connessi alla sostenibilità ambientale, le abitazioni vernacolari originarie in terra cruda, a pianta circolare, del distretto di Kachchh (nel Gujarat) sono state tra le strutture che hanno subìto meno danni dopo gli eventi sismici del 2001[1]. Il villaggio di Gandi No Gao è stato quindi realizzato con bassi costi, recuperando antiche formule e con ampia partecipazione degli abitanti.
Nel Museo della Merda è stata costruita la struttura base di una “capanna” partendo dall’esempio della “capanna di epoca villanoviana” riprodotta ai Giardini Margherita (Bologna) dai ricercatori del Museo Civico Archeologico di Bologna. La cultura villanoviana, in cui ormai quasi unanimemente si riconosce l’aspetto archeologico della più antica fase della civiltà etrusca, si diffuse fra IX e VIII sec. a.C. in un’area compresa fra i corsi dell’Arno a nord e del Tevere a sud. A questo nucleo principale si affiancarono, fin dall’inizio o con un lieve ritardo cronologico, attestazioni culturali analoghe in Emilia Romagna (Bologna e Verucchio), nelle Marche (Fermo) e nel Salernitano (Pontecagnano).
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L’istituzione bolognese – che ha gentilmente concesso al Museo della Merda anche la documentazione iconografica del progetto visibile a monitor – ha realizzato una capanna dalle pareti con mattoni di argilla impastata con paglia e sterco di animale lasciati seccare al sole, mentre il tetto è sostenuto da pali lignei e ricoperto da fascine[2]. Anche questo progetto nel Museo della Merda, pur partendo da alcuni dati archeologici, è stato trasfigurato creativamente. Si è riprodotta la struttura-base, circolare, della capanna – con un diametro di 4 metri e un’altezza di 56 centimetri – data da circa 230 mattoni ciascuno di forma trapezoidale (cm 16x20x40, h 14) disposti su quattro file e impastati con argilla e “digestato” sostanza fertilizzante sui generis ottenuta lavorando lo sterco bovino prodotto a Castelbosco. L’ultima fila di mattoni contiene alcuni semi di frumento (tra gli elementi primari per il nutrimento dei bovini nonché degli esseri umani) che nel corso del tempo germoglieranno creando infine un cerchio dorato in superficie. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con il designer Tommaso Mancini, già ideatore di Orto Brick, una linea di “green design” e “comunicazione” per la diffusione dell’orticoltura in contesti urbani e domestici che presenta “mattoncini” di argilla con all’interno semi di varie piante da poter “coltivare” e “curare” in casa (www.tommasomancini.com). Nella stessa sala vi sono due lavori dell’artista italiano Claudio Costa che ha operato alternando e fondendo ricerche di matrice paleontologica, antropologica e alchemica. La riflessione sui materiali naturali, gli attrezzi del lavoro umano, gli antichi rituali di varie popolazioni della Terra ha prodotto un percorso eterogeneo e sperimentale avendo come linea guida il rapporto uomo-natura-cultura. L’analisi dell’uso e della forma degli oggetti e il loro confronto con la natura permette di scoprire la loro origine e il rapporto con la storia dell’essere umano. L’opera L’uomo, la natura, la cultura (tecnica mista e fotografie, cm 82x112,5, 1975 ca.) lega il ritratto di un uomo della tribù somala Danakil, elementi naturali, vegetali, animali e le immagini di due arponi del Maddaleniano e del Maddaleniano inferiore. Il lavoro Capanna a Ksar Esegir (Tangeri) Marocco (fotografia e tecnica mista, nove elementi, ciascuno circa cm 35,5x45, 1975) analizza lo sviluppo di una capanna marocchina nei pressi di Tangeri ritratta in nove immagini con interventi verbo-visuali, appunti, schemi e applicazioni di elementi vegetali e animali.
L’idea della Capanna di Castelbosco riassume numerosi significati alla base della filosofia del Museo della Merda: lo sterco quale elemento “positivo”, polivalente e funzionale, portatore di “vita” nella cultura e nella natura ovvero in architettura, allevamento e agricoltura. Inoltre alcune pareti del castello sono “decorate” e “intonacate” con colature di “digestato”; ulteriore testimonianza della versatilità di questo “prodotto stercorario”.
Gaspare Luigi Marcone (Aprile 2015)
[1] Per approfondimenti su questi progetti cfr. C. Chiodero, L’habitat in terra cruda nello sviluppo rurale del nord dell’India: esperienze nella ricostruzione post-terremoto nel distretto del Kachchh, World in progress 2, Politecnico di Torino, Torino, 2008, passim.
[2] Cfr.: C. Morigi Govi, I nostri antenati vivevano qui. Ricostruita ai Giardini Margherita una capanna villanoviana, in “Bologna. Mensile dell’Amministrazione comunale”, 3 (1989), p. 16; In visita a ... La capanna villanoviana, coordinamento scientifico C. Morigi Govi, A. Dore, Museo Civico Archeologico, Bologna, 2003; Museo Civico Archeologico di Bologna, La capanna villanoviana, Comune di Bologna, Bologna, 1988. La capanna dei Giardini Margherita è stata realizzata a cura del Museo Civico Archeologico di Bologna, su progetto dell’architetto R. Merlo; il tetto è stato costruito da B. Rossetti, le pareti dalla REN Strade. Il Museo della Merda ringrazia in particolare A. Dore per il supporto scientifico e per la concessione dell’apparato iconografico.