
L’energia è uno dei temi principali del Museo della Merda, basti pensare alla produzione, ecosostenibile, del biogas e quindi poi dell’energia elettrica, grazie al riciclo del letame. Molte sale trattano di temi energetici – e quindi anche del calore e della luce – sia da un punto di vista progettuale-sperimentale (si pensi, per esempio, all’installazione dei batteri bio-luminescenti) sia metaforico-culturale (si veda la sala dedicata allo scarabeo stercorario assimilato a Khepri divinità egizia del “sole nascente”). In realtà questi concetti e progetti si intersecano e si amalgamano senza soluzione di continuità in tutto il percorso museale. David Tremlett, tra i primi artisti a collaborare con Gianantonio Locatelli, ha realizzato un suo primo intervento proprio su un traliccio energetico all’ingresso dell’azienda con la scritta “Perché buttarla se puoi riusarla?”.
Il tema dell’energia è protagonista comunque in una sala specifica del castello tardomedievale di Castelbosco. In questa sala, in passato, venivano depositati i bidoni del latte delle antiche vicine stalle, bidoni che sono in esposizione sia come “reperti” della storia del luogo sia come oggetti “riciclati” in qualità di sgabelli per assistere a opere audio-visive. Sul balconcino di carico e scarico dei bidoni del latte hanno preso posto la “centralina” e il “collettore” dell’impianto di riscaldamento, lasciato volutamente a vista quasi come un “intestino metallico”, futuribile, da cui si diramano i tubolari alettati lungo le pareti del castello che diffondono il calore. In sostanza il processo di lavorazione del biogas offre grandi quantitativi di acqua calda che opportunamente canalizzata e distribuita diviene una fonte primaria per il riscaldamento, gratuito, delle sale del castello e di altre stanze. I tubolari alettati, inoltre, sono protagonisti anche di un intervento del light designer Alberto Pasetti, che ha voluto utilizzarli come “fonte di luce” perimetrale, un filo conduttore che fa risaltare la morfologia stessa dello scambiatore energetico sprigionando allo stesso tempo un flusso luminoso che “scalpella”, percettivamente, le antiche irregolarità dei muri portanti dell’edificio. Anche in questo caso i livelli di lettura sono molteplici; basti pensare soltanto al binomio luce-calore dato dalla preistorica scoperta del fuoco, una delle scoperte che è stata alla base per grande parte dell’evoluzione umana. Si è conservata, perché già presente nei locali, anche una catasta di fascine, fonte primordiale di luce e calore.
Questa sala è sembrata dunque idonea anche per l’esposizione del lavoro Gazometres (1966-1976) degli artisti tedeschi Bernd & Hilla Becher che hanno fotografato per decenni con estrema oggettività gli edifici produttivi dell’evo moderno (gasometri, torri d’acqua, altiforni, serbatoi, torri d’estrazione) seguendo un percorso seriale e tassonomico. Le strutture industriali, “cattedrali” della modernità, costruite da anonimi autori, divise per tipologie e ritratte in bianco e nero, sono edifici destinati alla distruzione dopo aver esaurito la loro funzione. I Becher con la loro documentazione hanno cercato di catalogare e preservare l’immagine – e la memoria – di tali strutture di archeologia industriale, in parziale sintonia con le ricerche dell’arte “concettuale”. I gasometri dei Becher, inoltre, rievocano – nella loro struttura circolare – anche i digestori e le vasche di Castelbosco dove avviene la trasformazione della merda in biogas. Chiude il cerchio allestitivo – in realtà per riaprirlo – anche uno storico lavoro di Gianfranco Baruchello uno degli artisti più congeniali alla visione di Gianantonio Locatelli. Già fondatore di Agricola Cornelia S.p.A., (1973-1981) società regolarmente costituita, ubicata in via di Santa Cornelia, nella campagna vicino Roma, con lo scopo sociale di “coltivare la terra” Baruchello realizza nel 1975 l’opera video Il grano, entrato di recente nel percorso museale; l’artista riprende per un mese le diverse fasi della crescita, trasformazione e maturazione del grano, osservando le condizioni metereologiche e le loro conseguenze sul raccolto. Il film focalizza i cicli vitali della natura, il loro tempo e la loro durata.
Inutile sottolineare la pertinenza di questo lavoro sia per il soggetto sia per le modalità operative – vista anche la poderosa produzione agricola di Castelbosco – nonché per la riflessione su una delle attività fondanti della storia e dello sviluppo dell’essere umano ovvero l’agricoltura.
Gaspare Luigi Marcone (Ottobre 2017)