
La metamorfosi – delle idee, dei materiali e delle materie – è un concetto primario nella filosofia del Museo della Merda di Castelbosco. In questo “gabinetto di curiosità” non potevano mancare alcuni esemplari di “coproliti”, escrementi fossili, risalenti a milioni di anni fa. I coproliti (dal greco kópros = sterco, líthos = pietra) sono reperti sui quali c’è ancora un grande dibattito tra gli studiosi anche perché spesso è difficile stabilire a quali animali appartengano; forniscono comunque utili informazioni sull’alimentazione degli esseri viventi. In estrema sintesi sono escrementi fossili di forma varia costituiti da una mescolanza di carbonati e fosfati. Infatti un “fossile raramente consiste della stessa sostanza che costituiva le parti corrispondenti dell’organismo vivente, ma più spesso intervengono scambi chimici; tre composti predominano nella natura dei fossili: la silice, il carbonato di calcio (particolarmente la calcite) e il fosfato di calcio; nell’ordine seguono carbone, pirite e numerose altre sostanze”[1]. I legami – non solo “concettuali” – dei coproliti all’interno del Museo della Merda hanno però uno spettro più ampio che supera la semplice curiosità. Si ricordi infatti che anche sostanze come il petrolio e i carboni fossili hanno origine organica e sono detti “fossili chimici”, di cui l’uomo si serve da secoli ma che come noto hanno un impatto ambientale non rassicurante. L’azienda di Castelbosco invece produce biogas generato dalla lavorazione dello sterco delle mucche. Il biogas, ricco in metano, è ottenuto tramite digestione anaerobica – per opera di batteri anaerobici, batteri metanigeni o metano batteri – delle sostanze organiche contenute nei residui della lavorazione agro-industriale (letame e vegetali); il metano così ottenuto si chiama appunto biogas o metano biologico – per distinguerlo dal metano naturale e dal metano tecnico – ed è più ecosostenibile; con tale fonte di energia inoltre sono riscaldate tutte le sale del castello tardomedievale grazie a un impianto “futuribile” che corre come un intestino metallico lungo il perimetro interno dell’edificio. Nella sala dove è visibile l’impianto di riscaldamento sono allestiti un proiettore che riproduce filmati che hanno come soggetto la “merda” e un ciclo di sei fotografie (Gazometres, 1966-76) di Bernd&Hilla Becher che ritraggono gasometri britannici e tedeschi dell’evo moderno potenziando un ulteriore collegamento tra arte, scienza, industria e le attività dell’azienda di Gianantonio Locatelli.
I “digestori” di Castelbosco che compiono i procedimenti di trasformazione dello sterco – così come altri edifici dell’azienda quali stalle, cabine elettriche, abitazioni – sono stati a loro volta “trasformati” dagli interventi dell’artista britannico David Tremlett. Partendo da questi presupposti, inoltre, si può meglio godere l’installazione che illumina parte del Museo della Merda – nella sala centrale del castello – concepita con “batteri bioluminescenti” dal light designer Alberto Pasetti.
Continui salti tra passato e futuro, scienza e arte, archeologia e religione, conducono a un altro “oggetto” affascinante allestito nella sala d’ingresso del castello: un ex voto anatomico di area etrusco-laziale in terracotta (III-II sec. a.C.; h cm 35) che raffigura gli organi umani (esofago, polmoni, cuore, stomaco, fegato, intestino, reni, vescica), emblematica testimonianza di un’altra straordinaria “macchina”, il corpo umano.
Gaspare Luigi Marcone (Aprile 2015)
[1] Cfr. voce Fossile in Enciclopedia Treccani: http://www.treccani.it/enciclopedia/fossile/.