
La Naturalis Historia è un’opera enciclopedica scritta da Plinio il Vecchio (23/24-79 d.C.) pervenuta in 37 libri. Il lavoro, dedicato all’imperatore Tito, è una raccolta su tutto lo scibile umano ed è per i contemporanei una fonte unica e insostituibile sul sapere dell’antichità. Possiede una miriade di informazioni, citazioni e tradizioni su vari aspetti della natura e della cultura. L’enciclopedia pliniana si chiude con un commosso saluto alla Natura.
Plinio dichiara di aver consultato circa duemila volumi, di almeno cento autori, riassunti in ventimila schede.
L’opera tratta, con vocazione tassonomica, di astronomia e meteorologia, geografia, antropologia, zoologia, botanica, mineralogia con annesse “sottocategorie”. Oltre alle ovvie citazioni inerenti il letame in agricoltura, nella sezione “medicina e farmacologia” Plinio riporta numerose proposte curative date dall’uso dello sterco di vari animali; il libro 28, in particolar modo, raccoglie ed elenca moltissimi di questi “preparati medici” che oggi possono apparire al limite tra tradizione e superstizione.
Per esempio si legge che “Eschine d’Atene curava le angine, le tonsilliti, gli abbassamenti di ugola e le ulcere cancerose con la cenere di escrementi; a questo medicamento dava il nome di “botryon”; “Per chi è stato punto dallo scorpione è un rimedio lo sterco di capra, più efficace se cotto nell’aceto”; “Lo sterco di vitello impastato a mano con l’olio e la gomma elimina i segni rossi sul volto e le macchie che alterano il colore della pelle”; “Le ostetriche assicurano che anche la più abbondante emorragia uterina si frena bevendo l’urina di capra e spalmandone lo sterco”[1].
Per il Museo della Merda si sono scelte alcune di queste “formule” trascritte su etichette con il logo del Museo e apposte su alcuni contenitori di vetro riempiti con elementi vegetali misti al “digestato” prodotto a Castelbosco da Gianantonio Locatelli. L’operazione è tra la citazione e la metafora presentata come un’installazione di arte contemporanea visto che, per la filosofia alla base di tutto il progetto del Museo della Merda, l’arte è lo strumento primario per quell’idea di metamorfosi e rigenerazione della natura e della cultura. Non a caso anche la Naturalis Historia, nella sezione della mineralogia, affronta l’arte in modo sui generis; seguendo Maurizio Harari: “La natura è appunto l’oggetto sterminato e ‘ritmico’, multiforme, della ricognizione pliniana […] Gli ultimi libri della trattazione sono così dedicati al regno minerale, cui è riconosciuta una specie di vitalità biologica, quella capacità incessante di autotrasformazione, che avrebbe suggestionato gli alchimisti del Rinascimento. Le arti figurative entrano nell’ordito classificatorio perché luoghi privilegiati della trasformazione materiale: perché oreficeria e gioielleria trasformano metalli e gemme, perché la scultura trasforma il rame e il marmo, perché la pittura trasforma le terre colorate; l’opera d’arte (o di alto artigianato) è per Plinio un prodotto in un certo senso naturale, una natura illusoria reinventata dentro quella reale (e divina) manipolandone altri prodotti, le pietre le terre i metalli, che già in potenza quella illusione contenevano”[2].
Gaspare Luigi Marcone (Aprile 2015)
[1] Tutte le quattro citazioni menzionate sono tratte rispettivamente da Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, trad. e note di U. Capitani e I. Garofalo, Einaudi, Torino, 1986, vol. IV, Medicina e farmacologia, XXVIII, 10, p. 55; XXVIII, 42, p. 147; XXVIII, 50, p. 173; XXVIII, 77, p. 243. L’edizione citata è stata utilizzata anche per la scelta dei passi usati nell’“installazione pliniana” allestita nel Museo della Merda.
[2] M. Harari, Plinio il vecchio e la storia dell’arte antica, in Plinio il Vecchio, Storia delle arti antiche, introduzione di M. Harari, a cura di S. Ferri, testo latino a fronte, BUR Rizzoli, Milano, [2000], 20114, pp. 8-9.