
Gran parte degli oggetti e dei progetti presenti nel Museo della Merda sono in sintonia con l’idea di Wunderkammer (“camera o gabinetto delle meraviglie”) nata nel XVI secolo – e alla base della moderna idea di museo – come luogo di raccolta di esemplari della storia naturale, strumenti di varie discipline, artefatti e opere d’arte di ogni epoca o curiosità varie (naturalia e artificialia).
Questo interesse per il “meraviglioso” o il “mostruoso” è ben esplicato nella grande sala con volta a botte in asse tra le porte di ingresso e di uscita del castello. Pareti e soffitto sono completamente coperte dal Merdame®, fertilizzante prodotto a Castelbosco, di origine rinnovabile, prodotto secondo i principi dell’economia circolare, ideale per il benessere delle piante, prodotto chiave nella lotta al cambiamento climatico. È uno dei primi “esperimenti”, dal sapore quasi alchemico, della trasformazione del letame in prodotto adatto all’agricoltura nonché ideale anche a livello architettonico, per la “bioedilizia”. Unione di qualità estetiche ed etiche. Quasi per contrasto l’installazione centrale della stanza, realizzata riciclando un’antica vasca in legno trovata nel castello, è costituita da vari esemplari di piante carnivore provenienti da varie zone della Terra. Infatti a causa dell’assenza di azoto, fosforo, potassio e altre sostanze nutritive nei loro terreni d’origine, le piante carnivore hanno sviluppato un apparato digerente per poter digerire e assorbire le proteine derivate dagli animali o dagli insetti catturati. Vi è sotteso anche un fascino per la “bellezza mostruosa”, visto che queste piante stupende ammaliano le loro prede per cibarsene. Questo allestimento è anche un “promemoria” o una riflessione sulla condizione attuale della “terra” ovvero sul saper ben coltivare, gestire e rispettare il suolo che rappresenta un patrimonio globale inestimabile sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista agricolo.
Nella stessa sala è possibile ammirare l’opera Alfabeto, 1973, di Claudio Parmiggiani composta da 22 fotografie (realizzate da Luigi Ghirri in collaborazione con Tiziano Ortolani) che riescono a rievocare l’idea di un “museo nel museo” sintesi di natura, cultura, scienza, magia, alchimia e trasformazione alla base del progetto del Museo della Merda. Come scrive Daniela Palazzoli, riportando le parole dell’artista, “21 tavole più 1, ‘il matto’, come nel gioco dei tarocchi, una sorta di cosmologia grottesca e di rimandi mnemonici, una storia naturale che invece è diventata innaturale e soprattutto stravolta. 21 immagini tratte dalla collezione di storia naturale di Lazzaro Spallanzani […] alla fine, una tavola bianca con una scritta evanescente – alfabeto –, la definizione del lavoro. Alfabeto inteso come risultato delle parole – delle intenzioni collettive – delle ideologie politiche – un museo traslocato o delocato in un altro museo. Le tavole inoltre corrispondono, alle simbologie delle carte dei tarocchi”[1]. A Castelbosco vi è quindi, non solo indirettamente, un omaggio anche a Lazzarro Spallanzani, studioso e naturalista del XVIII secolo, fondatore della biologia sperimentale nella piena “età dei lumi”, la cui collezione di “meraviglie” è ospitata presso il Palazzo dei Musei, storica sede dei Musei Civici di Reggio Emilia.
Gaspare Luigi Marcone (Ottobre 2017)
[1] Cfr. Claudio Parmiggiani, Alfabeto, testo di N. Balestrini, prefazione di D. Palazzoli, L’Uomo e l’Arte editore, Milano, 1974.